
Una lama di luce filtrava attraverso la porta socchiusa. Fu Ettore a entrare per primo, senza lasciarmi la mano.
Trattenni il respiro. Tutto era come l’avevamo lasciato. Le tende tirate, il letto rifatto, il tavolino con il servizio da tè e quel vecchio tappeto – che io detestavo, ma a lui piaceva tanto – al centro della stanza.
Mi tranquillizzai. Avevamo solo dimenticato la porta aperta. Stavo per dirlo a voce alta, quando Ettore portò l’indice davanti alle labbra. All’improvviso mi accorsi anch’io della musica. E della voce femminile, che storpiava le parole della canzone.
La donna uscì dal bagno, i capelli avvolti in un asciugamano a mo’ di turbante. Rimase a sgocciolare sulla soglia del soggiorno, osservandoci con aria sorpresa.
– Giorgio, non ti aspettavo così presto, – cinguettò.
Giorgio? Di certo si confondeva con qualcun altro!
Ettore arrossì smarrito, spostando lo sguardo da me alla tizia in accappatoio.
– Che pensiero carino portarmi dei fiori! –
La donna gli strappò di mano il mazzo di rose, che Ettore aveva raccolto per me al ritorno dalla passeggiata.
La fissai incredula, mentre sistemava i fiori nel nostro vaso.
– Lei chi è? Cosa fa in casa nostra? –
La voce uscì più incerta di quanto avessi voluto. La donna mi squadrò dall’alto in basso, poi scoppiò in una risata rumorosa.
– Non sia sciocca, cara. Questa è casa mia! –
– Bugiarda! Noi viviamo qui da… da… –
Guardai Ettore, in cerca di aiuto.
– Oh, insomma… da tanto! –
È vero, non riuscivo più a ricordare da quanto vivessimo lì o la data del nostro anniversario. Ma se i miei ricordi erano sbiaditi, non lo era l’amore che provavo per lui.
Non avrei permesso a quella di portarmelo via.
Afferrai il vaso e colpii la donna sulla nuca con tutta la forza che avevo. Due, tre volte, finché non cadde a terra.
Proprio in quel momento, mentre il sangue si mescolava all’acqua e ai petali di rose, il campanello di emergenza della 22 prese a suonare senza sosta. Mai una volta che quell’impiccione del nostro dirimpettaio badasse agli affari suoi.
In un attimo arrivarono gli uomini vestiti di bianco. Portarono via la donna su una barella, portarono via Ettore. A me tolsero il vaso di mano.
– Andiamo, Rosa. Non è questa la tua stanza. –