Vecchie conoscenze

Titolo: Vecchie conoscenze

Autore: Antonio Manzini

Editore: Sellerio Editore Palermo

Anno di pubblicazione: 2021


SINOSSI

Rocco Schiavone indaga sull’omicidio di una professoressa in pensione. E intanto l’ombra del passato si fa pressante: la pena per Sebastiano, l’amico fraterno che non ha mai smesso di dare la caccia a Enzo Baiocchi, che gli ha assassinato la moglie, lo rende inquieto e gli ruba il sonno. Antonio Manzini continua il suo romanzo sul vicequestore scontroso, malinconico, ruvido e pieno di contraddizioni che i lettori ormai conoscono e apprezzano; lo fa con una capacità di invenzione e con una passione per il personaggio, per tutti i personaggi, che difficilmente possiamo riscontrare in altri scrittori di oggi.


RECENSIONE

Ci sono dei giorni in cui si percepisce che un pezzo della nostra vita se n’è andato, e seppelliamo la nostra faccia di una volta perché non ci appartiene più.

È un Rocco Schiavone sempre più malinconico, arrabbiato, disilluso quello che ritroviamo nel nuovo romanzo della serie, dal titolo Vecchie conoscenze. Solo, anche. Gabriele, l’adolescente della porta accanto, si è trasferito a Milano con la madre.

La storia con la giornalista Sandra Buccellato non decolla: Rocco ancora non è capace di lasciarsi andare, la morte di Marina continua a tormentarlo tra ricordi e senso di colpa.

E degli amici di una vita davvero può fidarsi ancora ciecamente?

Schiavone, però, ha la sua squadra. Non una spalla, non più semplici comparse, ma personaggi essenziali della storia. Più di tutti, in questo romanzo, Michele Deruta, che ci svela qualcosa di totalmente inaspettato del suo privato.

Mi siete rimasti solo voi. Per quanto sia dura e difficile ammetterlo, non ho altri che voi…, 

realizza Rocco nell’ultimo capitolo. E ha ragione.

In un febbraio freddo e nevoso, Manzini intreccia sapientemente più romanzi in uno. Da un lato, c’è l’indagine per risolvere l’omicidio di un’anziana e stimata storica dell’arte; dall’altro, le vicende private del vicequestore, un capitolo ben lontano dall’essere chiuso.

E così, tra le “vecchie conoscenze” che tornano in scena, ritroviamo l’amico Sebastiano, che come una meteora appare ad Aosta per poi scomparire di nuovo, l’acerrimo nemico di Rocco, il pentito Enzo Baiocchi, persino l’agente speciale Caterina Rispoli.

Verrebbe voglia di centellinarlo, questo romanzo, per farlo durare più a lungo possibile. Ma è troppa la voglia di sapere come andrà a finire, di capire. E il colpo di scena finale è come tutti i colpi di scena dovrebbero essere: una rivelazione sconvolgente, destabilizzante, amara.


L’AUTORE

Attore e sceneggiatore, romano (allievo di Camilleri all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica), Antonio Manzini ha esordito nella narrativa con il racconto scritto in collaborazione con Niccolò Ammaniti per l’antologia Crimini. Del 2005 il suo primo romanzo, Sangue marcio (Fazi). Con Einaudi Stile libero ha pubblicato La giostra dei criceti (2007). Un suo racconto è uscito nell’antologia Capodanno in giallo (Sellerio 2012). Del 2013, sempre per Sellerio, ha pubblicato il romanzo giallo Pista Nera. Secondo episodio della serie: La costola di Adamo (Sellerio 2014). Nel 2015 pubblica Non è stagione (Sellerio), Era di maggio (Sellerio) e Sull’orlo del precipizio (Sellerio). Del 2016 è Cinque indagini romane per Rocco Schiavone (Sellerio). Altri suoi romanzi pubblicati con Sellerio sono: 7-7-2007 (2016), Pulvis et umbra (2017), La giostra dei criceti (2017), L’ anello mancante. Cinque indagini di Rocco Schiavone (2018), Fate il vostro gioco (2018), Rien ne va plus (2019), Ogni riferimento è puramente casuale (2019), Gli ultimi giorni di quiete (2020) e Vecchie conoscenze (2021).

I bastardi vanno all’inferno

Titolo: I bastardi vanno all’inferno

Autore: Frédéric Dard

Editore: Nero Rizzoli

Anno di pubblicazione: 2021


SINOSSI

I bastardi vanno all’inferno è tra i più noti romanzi di Frédéric Dard, storia scritta prima per il teatro, poi approdata sul grande schermo e infine divenuta romanzo. Un noir senza tempo, un’indagine impietosa sulla natura umana. Quella mattina il cielo era bianco. Un cielo che poteva invogliare gli uomini a ripartire da zero. O a farla finita una volta per tutte. Il destino, in fondo, è l’ironia della vita, sono i suoi colpi bassi.

Anni Cinquanta, un luogo imprecisato nel Sud della Francia. Sono chiusi nella stessa, minuscola cella. Sono due uomini agli antipodi. Il primo è una spia, il secondo un poliziotto sotto copertura con il compito di scucire informazioni al compagno di galera. Entrambi hanno molto da nascondere e non possono sbagliare una risposta.

Questo rapporto teso, nutrito dal sospetto e in bilico tra calcolo e aggressività, si complica quando Frank e Hal sentono emergere, inaspettatamente, qualcosa che somiglia a un’amicizia, un desiderio, quasi loro malgrado, di affidarsi l’uno all’altro. Nel momento in cui decidono di evadere la loro sorte sembra segnata, ma l’entrata in scena di Dora, una bionda enigmatica in cui incappano durante la fuga, cambierà tutto. Perché, rinchiusi tra quattro mura, tutti gli uomini finiscono per assomigliarsi. E una volta fuori, chi può dire quale dei due sia il poliziotto e quale la spia?


RECENSIONE

Mi sono innamorata di Frédéric Dard dopo aver letto Il montacarichi. Ad avermi affascinata fin dal primo momento è stato il suo stile di scrittura immediato, attualissimo anche oggi, la fantasia dell’intreccio e il gusto per le atmosfere nere, che sfociano in una suspense soprattutto psicologica.

Non fa eccezione I bastardi vanno all’inferno, un noir intenso, in cui il mistero da indagare non è tanto quello da cui il romanzo prende le mosse, quanto piuttosto la natura umana. La sfaccettata, drammatica complessità delle relazioni, che Dard sa leggere con profondità e intelligenza. 

La storia comincia tra le pareti di un carcere. Due uomini sono rinchiusi nella stessa cella: sappiamo dal prologo che uno è un poliziotto sotto copertura e che deve convincere l’altro ad evadere con lui, ma non sappiamo chi è chi.

Legittimo aspettarsi una risposta a questa domanda iniziale – è il mistero da risolvere – spiazzante rendersi conto che, arrivati all’ultima pagina, saperlo non ci interessa più di tanto e non fa tutta questa differenza.

Quello che conta infatti, quello che cattura il lettore, è scoprire come si svilupperà il rapporto tra idue personaggi, un rapporto che alterna conflitto e complicità, un legame che diventa pagina dopo pagina sempre più intimo. È una solidarietà umana feroce quella che Dard racconta, che fa dimenticare le premesse e ineluttabilmente conduce a un finale doloroso, come in un drammashakespeariano.

D’altra parte, non è un caso: I bastardi vanno all’inferno nasce infatti come testo teatrale, prima di esserepubblicato come romanzo e di essere adattato per il cinema da Robert Hussein. A dimostrazione che le belle storie stanno bene con qualsiasi abito.


L’AUTORE

Frédéric Dard (1921-2000) è stato uno scrittore francese, famoso per i suoi numerosissimi romanzi noir, pubblicati lungo tutta la seconda metà del Novecento. La serie di libri polizieschi dedicata al commissario Sanantonio riscosse un eccezionale successo, e insieme ad altre opere dello scrittore arrivò a vendere, nel complesso, più di 290 milioni di copie. Nel 1957 Dard venne insignito del Grand prix de littérature policière, il più importante riconoscimento francese per il genere del giallo, per il suo romanzo Le Borreau pleure. Tra i suoi titoli pubblicati in Italia ricordiamo Mosca al naso per Sanà (E/O, 2013), Facce da funerale (E/O, 2015), Gli scellerati (Rizzoli, 2018) e Il montacarichi (Rizzoli, 2019).

Sotto la cenere

Sotto la cenere - Camilla Grebe

Titolo: Sotto la cenere

Autore: Camilla Grebe

Editore: Einaudi

Anno di pubblicazione: 2021


SINOSSI

Samuel Stenberg ha diciotto anni, vive con la madre, non ha un lavoro fisso e per una combinazione di ingenuità e pigrizia rimane coinvolto in un affare di droga andato storto. Con la polizia e i criminali sulle sue tracce, trova rifugio in una cittadina nell’arcipelago di Stoccolma, dove inizia a lavorare come assistente del figlio disabile di una famiglia benestante.

Il padre non c’è mai e la madre, Rakel, sembra averlo preso in simpatia, finché Samuel non comincia a notare atteggiamenti inquietanti. Nel frattempo, dalle acque dell’isolotto emerge un cadavere, e a occuparsi del caso vengono chiamati Manfred Olsson e la sua collega Malin. Ma quando la corrente fa affiorare un altro corpo, l’indagine si fa ancora più torbida e Manfred non ha altra scelta che rivolgersi alla criminologa Hanne Lagerlind-Schön.


RECENSIONE

Di recente vincitrice del “Glass Key award”, premio dedicato agli autori nordici di romanzi crime, Camilla Grebe ci regala un thriller insolito e coinvolgente, per il modo in cui la tensione è inestricabilmente connessa ai sentimenti, all’umanità dei suoi personaggi. Anzi, spesso ne è alimentata.

Tre sono le voci attraverso cui la vicenda di “Sotto la cenere” viene narrata.
La prima è quella di Manfred Olsson, il detective incaricato di indagare sul ritrovamento di due ragazzi morti nelle acque di Stoccolma, insieme alla collega Malin. Manfred è un uomo stanco, ancora scosso dal terribile incidente che ha ridotto sua figlia in fin di vita, ma, proprio per questo, in grado di affiancare all’intuito un’estrema empatia.

C’è poi il punto di vista di Samuel Stenberg, un adolescente indolente e immaturo, con la predisposizione a cacciarsi nei guai, l’attitudine a cercare sempre la strada più semplice e il desiderio di crescere, di dimostrare prima di tutto a se stesso di essere un adulto, tanto più se questo significa ribellarsi alla madre, Pernilla.

Chiude la rosa dei narratori Pernilla stessa, madre single, donna schiva e remissiva, soffocata dal senso di inadeguatezza nei confronti del padre, ex pastore, da un lato, e dalla tendenza a mettere di continuo in discussione il suo essere genitore, la sua capacità di educare Samuel, dall’altro.

A queste tre voci aggiungerei pure le parole del profeta Giona, che aprono le diverse parti del romanzo, fornendo una simbolica chiave di lettura agli eventi narrati: la voce di Dio è presente nei tanti riferimenti biblici, che come un leitmotiv si susseguono nei pensieri di alcuni dei personaggi chiave.

Del resto sono proprio i pensieri, questi e altri, a stabilire una connessione tra i protagonisti del romanzo e il lettore, tanto che l’azione passa a volte in secondo piano. Più importante della violenza, del delitto in sé, è il bisogno di indagare le origini del male e di mantenere viva la pietas per le vittime.

Più di tutto, di questo romanzo mi ha commosso l’amore dei genitori per i figli, l’amore come appiglio in un mondo senza valori, dove le strutture sociali sono frammentate e la tecnologia alimenta in modo malato la nostra naturale ricerca di risposta sociale e di accettazione, spostandola dalla vita reale alla rete.

Eppure, sappiamo che non tutto è come appare. L’amore stesso non sempre ha un’accezione positiva e può deviare verso il narcisismo, così come i traumi dell’esistenza possono sfociare nella psicosi.

L’abilità della Grebe come autrice sta proprio in questo, nel far evolvere la storia verso sviluppi originali e inaspettati, a volte inquietanti.

Il messaggio che possiamo trarne?

La vita è un percorso in salita, che non offre scorciatoie. Sta a noi trovare un compromesso tra razionalità e sentimenti, per affrontare il viaggio con determinazione.

L’AUTORE

Camilla Grebe è nata nel 1968 a Älvsjö, nei pressi di Stoccolma. Ha raggiunto il successo internazionale grazie a La sconosciuta, Einaudi Stile Libero (2017). Sempre per Einaudi Stile Libero ha pubblicato Animali nel buio (2018) e Sotto la cenere (2021).

Scrublands Noir

Titolo: Scrublands Noir

Autore: Chris Hammer

Editore: Neri Pozza

Anno di pubblicazione: 2021


SINOSSI

È una rovente giornata estiva a Riversend, una piccola cittadina australiana afflitta dalla siccità, quando Byron Swift, il giovane sacerdote della comunità, esce dalla chiesa imbracciando un fucile da caccia dotato di mirino e spara sui parrocchiani riuniti sul sagrato in attesa della funzione, prima di essere freddato da un colpo di pistola esploso da un agente di polizia. Un anno dopo, Martin Scarsden viene incaricato dal suo giornale, il Sydney Morning Herald, di scrivere un pezzo su Riversend, una sorta di reportage da mandare in stampa il giorno stesso dell’anniversario della strage. L’idea non è di ritornare su un efferato crimine su cui si sono già consumati fiumi di inchiostro, ma di raccontare come vanno le cose in paese a un anno di distanza. Dopo aver incontrato la gente del posto e ascoltato la loro versione dei fatti, Martin si rende però conto che le ragioni di quella strage sono tutt’altro che chiare, e che sia la personalità del sacerdote sia le circostanze in cui ha agito sono tuttora avvolte nell’oscurità. Sebbene abbia ammazzato cinque persone a fucilate, Byron Swift, a detta di tutti in paese, era un uomo sensibile che si prendeva incessantemente cura del prossimo. Certo, le cronache sono piene di bravi cittadini che si rivelano poi folli e feroci assassini. Tuttavia, il giorno della strage il giovane sacerdote era tutt’altro che in preda alla follia. Era calmo, metodico. Ad alcuni aveva sparato e ad altri no, con l’infallibilità di un cecchino. Spinto dal suo istinto di reporter, Martin decide di raccogliere quante più informazioni su Swift e su una vicenda che, tra dubbi, depistaggi e gravi pericoli, si rivela sempre più sfuggente e, per questo, estremamente intrigante. L’inchiesta lo condurrà nelle Scrublands, un’enorme penisola di mulga, una landa desolata dove il clima è ancora più rovente e dove il rinvenimento di altri due corpi rimescolerà tutte le carte in tavola.


RECENSIONE

Prendete un paese sperduto nella regione rurale della Riverina, Australia, affaticato dalla siccità e dal caldo. Un caldo talmente soffocante che basta tenere in mano il romanzo per sudare, un paese decadente, claustrofobico, da cui in tanti sono scappati o vorrebbero farlo.

Prendete un giornalista con un disturbo post traumatico da stress, tormentato dalle sue esperienze di guerra nella Striscia di Gaza, ma abbastanza appassionato per desiderare ancora di connettersi congli eventi, non semplicemente di raccontarli.

Prendete infine l’enigma mai risolto di un giovane sacerdote, Byron Swift, che ha sparato a cinque dei suoi parrocchiani sul sagrato della chiesa, apparentemente senza motivo, prima di essere ucciso dalla polizia.

Scrublands Noir” è un romanzo capace di catturare il lettore e di calarlo fin dalle prime pagine all’interno di una trama ricca di colpi di scena (come, a un certo punto, il ritrovamento del cadavere di due studentesse scomparse poco prima della strage del prete), di intrighi, dubbi, depistaggi e pericoli.

Martin Scarsden è al centro di tutte le macchinazioni della narrazione di Chris Hammer, ma non è solo. È circondato anzi da un cast di personaggi audaci, eccentrici, per certi versi orribili, ma autentici: la libraia Mandalay Blonde, Codger Harris, Harley Snouch, Robbie Haus-Jones, il poliziotto che ha sparato a Swift, pur considerandolo suo amico. Tutti loro hanno un ruolo fondamentale nello svolgimento di questa storia.

Martin si insedia nella vita di Riversend, a poco a poco. I giorni si susseguono tutti uguali, come in un eterno “Giorno della marmotta”: percorre la strada principale, passa davanti al solitario monumento ai caduti, desidera un caffè – e un po’ d’amore – da Mandalay. Eppure, sotto la superficie immota, pacifica, il paese è inondato di correnti sotterranee e mortali.

Più Martin scava a fondo, più corre il rischio di scoprire segreti che è meglio lasciar dormireindisturbati, ritrovandosi inconsapevolmente sotto i riflettori del circo mediatico e notizia lui stesso.

A proposito, la rappresentazione che Chris Hammer fa dell’orda di giornalisti affamati di scoop, narcisisti e senza scrupoli è perfetta, come ci si può aspettare da un autore che in precedenza è statogiornalista a sua volta.

Sorretto da un ritmo serrato e dalla prosa potente dell’autore, dalla sua capacità di perdersi nei dettagli senza annoiare e dall’empatia che sembra connetterlo con i suoi personaggi, “Scrublands Noir” è un thriller originale, avvincente ai limiti dell’inquietudine, che lascia col fiato sospeso fino alla fine.


L’AUTORE

Chris Hammer ha conseguito una laurea in giornalismo presso la Charles Sturt University e un master in relazioni internazionali presso l’Australian National University. Tra le sue opere si segnalano i romanzi Trust (2020), Silver (2019) e saggi quali The River (2010) e The Coast (2012). Vive a Canberra, Australia.

Biancaneve nel Novecento

Titolo: Biancaneve nel Novecento

Autore: Marilù Oliva

Editore: Solferino

Anno di pubblicazione: 2021


SINOSSI

Giovanni è un uomo affascinante, generoso e fallito. Candi è una donna bellissima che esagera con il turpiloquio, con l’alcol e con l’amore. E Bianca? È la loro unica figlia, che cresce nel disordinato appartamento della periferia bolognese, respirando un’aria densa di conflitti e di un’inspiegabile ostilità materna. Fin da piccola si rifugia nelle fiabe, dove le madri sono matrigne ma le bambine, alla fine, nel bosco riescono a salvarsi. Poi, negli anni, la strana linea di frattura che la divide da Candi diventa il filo teso su un abisso sempre pronto a inghiottirla.  Bianca attraversa così i suoi primi vent’anni: la scuola e gli amori, la tragedia che pone fine alla sua infanzia e le passioni, tra cui quella per i libri, che la salveranno nell’adolescenza. Negli anni Novanta, infatti, l’eroina arriva in città come un flagello e Bianca sfiora l’autodistruzione: mentre sua madre si avvelena con l’alcol, lei presta orecchio al richiamo della droga. Perché, diverse sotto ogni aspetto, si somigliano solo nel disagio sottile con cui affrontano il mondo?  È un desiderio di annullarsi che in realtà viene da lontano, da una tragedia vecchia di decenni e che pure sembra non volersi estinguere mai: è cominciata nel Sonderbau, il bordello del campo di concentramento di Buchenwald.


RECENSIONE

Biancaneve nel Novecento è un romanzo potente. È un romanzo emozionante, profondo. Una storia di grande umanità, in cui è facile affezionarsi ai personaggi, perché è l’autrice per prima a provare per loro empatia. Nessuna meraviglia che sia tra i candidati al Premio Strega.

La narrazione procede attraverso l’alternanza tra due voci: da un lato c’è Bianca, prima bambina, poi adolescente, dall’altro c’è Lili, un’anziana signora sopravvissuta al campo di Buchenwald. Chehanno in comune la storia di una bimba che nel 1980 ha quattro anni, con quella di una donna che ha vissuto sulla propria pelle gli orrori del nazismo?

Innanzitutto la sofferenza, una ferita che si allarga come una macchia, a poco a poco.

Per Bianca è il senso dell’abbandono, il sentirsi rifiutata dalla madre e testimone impotente di conflitti che minano la serenità familiare in uno stillicidio quotidiano, la sua consapevolezza di essere diversa, la costante sensazione di inadeguatezza che l’accompagna durante la crescita.

Per Lili è il ricordo doloroso e indelebile degli eventi di cui è stata vittima, lei come tante giovani deportate. Il senso di colpa per essere sopravvissuta, le umiliazioni patite, i segni che porta sul corpo e nella mente, e che finiscono per deteriorare i rapporti con gli affetti più cari.

Noi siamo quello che la vita ha combinato o meno coi nostri incontri”, scrive Marilù Oliva, “con le nostre emozioni e con i vuoti, con le nostre speranze, con le nostre fobie e con i nostri guai. Nessuno può sfuggire.”

Non potrebbe essere più vero.

Sullo sfondo delle vicende personali di queste due donne, che pur così diverse sono allo stesso tempo tanto simili, c’è la Storia. Quella con la “S” maiuscola. La Seconda Guerra Mondiale e l’Olocausto, che Lili ha vissuto sulla propria pelle, ma non solo. C’è anche tanta storia degli ultimi vent’anni del Novecento. La strage di Ustica e quella alla stazione di Bologna, o il terremoto dell’Irpinia sono solo alcuni degli eventi che segnano come tappe la vita di Bianca.

Attraverso una scrittura vivida e con cruda delicatezza, l’autrice ci consegna un messaggio importante: se è vero che il male finisce per generare altro male, un modo per interrompere la spirale del dolore esiste. E sta nella capacità di riflettere sui propri errori, nel correggere il tiro, nel non lasciarsi sopraffare dalle tragedie, nel provare compassione verso gli altri. Nel curare, per quanto possibile, le loro ferite.

Bianca e Lili sono, a loro modo, eroine del tempo a cui appartengono. Che è anche il nostro. Come le loro strade si incroceranno, lo scoprirete solo leggendo il romanzo.


L’AUTORE

Marilù Oliva è scrittrice, saggista e docente di lettere. Ha scritto due thriller e numerosi romanzi di successo a sfondo giallo e noir. Ha co-curato per Zanichelli un’antologia sui Promessi Sposi, e realizzato due antologie patrocinate da Telefono Rosa, nell’ambito del suo lavoro sulle questioni di genere. Collabora con diverse riviste ed è caporedattrice del blog letterario Libroguerriero. Il suo libro più recente è L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre (Solferino 2020).

Atlante freddo

Titolo: Atlante freddo

Autore: Luigi Bernardi

Editore: Rizzoli

Anno di pubblicazione: 2020


SINOSSI

Chiara è magrissima, ha un’aria buffa, calza degli zoccoli e porta lunghi capelli scuri che contrastano col suo nome. Ogni tanto le sembra di incepparsi mentre i pensieri scorrono fuori sincrono. Per crescere ha solo la scuola della strada e le lezioni che le impartirà un destino beffardo. Da Bari a Torino, passando per Bologna, la trilogia Atlante freddo è un racconto di formazione in nero, un “giro d’Italia” da Sudest a Nordovest scandito da fughe rocambolesche, incontri sorprendenti e perdite che fanno malissimo. Così Chiara viene coinvolta nel piano di Vincenzino, che per scalare le gerarchie criminali è pronto a tutto: anche a rapire la figlia di un boss. A Bologna, la ragazza dovrà sopravvivere a una notte di sangue che travolgerà le esistenze di un gruppo di venditori ambulanti al soldo di uno sfruttatore senza scrupoli. A Torino si troverà in mezzo al regolamento di conti tra alcuni reduci della lotta armata e Abdellah, il ras che controlla il racket di phonecenter per immigrati. Editore dal fiuto eccezionale, acuto esploratore della cultura di massa e ispiratore del “nuovo poliziesco italiano”, Luigi Bernardi mette in scena una schiera di sconfitti senza speranza, di outsider della malavita e marginali che popolano le ombre delle città. Racconta l’Italia di fine anni Novanta tracciando la mappa del Paese come se fosse il referto di un’autopsia, il crudo esame di un corpo ormai gelido. Al termine della corsa, l’unica vittoria possibile non è arrivare per primi al traguardo, bensì rimanere in piedi.


RECENSIONE

Chiara non ha ancora compiuto diciott’anni. È un’adolescente selvatica, con un’infanzia complicata alle spalle, capelli scuri, sempre fuori posto, e un nome che non le assomiglia. Chiara ha un’espressione buffa, pensieri che si aggrovigliano spesso e volentieri, e non trova mai le parole giuste. Le cose Chiara non le vede sempre nitide, a volte deve strizzare gli occhi e stropicciarli forte, ma le vede. E le vuole vedere.

È il suo sguardo, non per niente, a fare da filo conduttore in questa appassionante trilogia di Luigi Bernardi, pubblicata in un unico volume nel 2006 e riedita da Rizzoli alla fine del 2020.

Atlante freddo è tante cose. È un road movie, che ha inizio nelle strade di Bari con Vittima facile, si sposta sotto i portici di Bologna in Rosa piccola e approda a Torino con Musica finita. Uno spaccato d’Italia, quella della fine degli anni Novanta, i cui i figli devono fare i conti con un mondo in cui gli ex leader del Sessantotto “hanno il dito premuto sulle armi di guerra, oppure tirano le fila del più becero intrattenimento televisivo” e il Settantasette, aprendo la strada al disimpegno, è stato una sconfitta anche peggiore.

Atlante freddo è un romanzo di formazione a tinte fosche, un racconto di vagabondaggi, fughe rocambolesche e incontri casuali che finiscono quasi sempre male. Chiara vuole crescere, inventarsi la vita, camminare con le proprie gambe. Ma a che prezzo? Le perdite sono tante e tali, che la protagonista si convince a un certo punto di portare sfortuna a tutti quelli a cui vuole bene. La sua maturazione sembra insomma destinata a lasciarsi alle spalle una scia di sangue irredimibile.

Atlante freddo è infine un romanzo sociale, psicologico, il cui valore aggiunto sta nei suoi personaggi, criminali e non, ma tutti umani e, a modo loro, poetici. A volte completamente innocenti, difficilmente solo colpevoli, inevitabilmente vittime, di cui l’autore racconta le storie insinuando senza mai giudicare.

Nel mondo raccontato da Luigi Bernardi vivere è faticoso e l’unica vittoria possibile è non mollare. Come Balmamion, il ciclista intrappolato nella pallina-feticcio di Chiara, che ha conquistato due Giri d’Italia consecutivi, senza mai tagliare il traguardo per primo.


L’AUTORE

Luigi Bernardi (1953–2013) è stato editore, scrittore, saggista, traduttore. Ha creato case editrici, diretto collane e fondato riviste che hanno fatto la storia del fumetto e del poliziesco in Italia. È autore di diversi libri tra cui A sangue caldo. Criminalità, mass media e politica in ItaliaMacchie di rossoBologna avanti e oltre il delitto AlinoviIl male stanco. Alcuni omicidi quotidiani e quello che ci dicono, la trilogia criminale Atlante freddoCrepe e L’intruso.

La focena

Titolo: La focena

Autore: Mark Haddon

Editore: Einaudi

Anno di pubblicazione: 2020


SINOSSI

La vita di Angelica è segnata da un evento sconvolgente ancor prima della sua nascita: Maja, la bellissima attrice scandinava che era sua madre, l’ha data alla luce in extremis dopo un disastroso incidente aereo di cui è rimasta vittima. Suo padre Philippe, facoltoso e spensierato, si è ritrovato così a doversi occupare da solo di una bambina che ogni istante gli ricorda l’amata moglie scomparsa. È l’ultima cosa che avrebbe desiderato, e l’unico modo che trova per farlo è legarsi indissolubilmente – e morbosamente – alla figlia.  Angelica non conosce altro affetto e non si ribella mai al padre, anche se forse intuisce che nell’isolamento del loro ménage familiare c’è qualcosa di malsano e spaventoso. E lo intuisce senz’altro anche Darius, un giovane intraprendente che si reca ad Antioch, la gigantesca residenza di padre e figlia nella campagna inglese, per vendere a Philippe alcune opere d’arte. Quando Angelica lo incontra, in lei si accende la speranza che finalmente uno di quegli eroi mitologici di cui legge tanto avidamente le gesta sia saltato fuori dai suoi libri per venire a salvarla. È a questo punto che la situazione prende una piega inaspettata e Darius è costretto a una fuga rocambolesca per non soccombere. Ad aiutarlo, tre giovani avventurieri, Helena, Marlena e Anton, che gli offrono l’opportunità di imbarcarsi con loro sulla Focena, una magnifica goletta diretta verso sud. Ed è nelle acque del Mediterraneo che la sua rotta incrocia quella di Pericle, principe di Tiro, impegnato a tenersi lontano dalle minacce e dai fantasmi del passato e del futuro.


RECENSIONE

È avvincente come un thriller, emozionante come un romanzo d’avventura, fantasioso come una fiaba, l’ultimo libro di Mark Haddon, autore reso celebre dal best seller Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte.

L’incipit de La Focena è un pugno allo stomaco. Prima ancora di rendertene conto, ti trovi catapultato a bordo di un aereo privato che precipita su una fattoria, nella provincia francese. Muore il pilota, decapitato. Muoiono suo figlio e l’altra passeggera, una famosa attrice svedese, al nono mese di gravidanza.

L’unica a salvarsi è proprio la bambina di lei, Angelica.

Il romanzo prosegue raccontando le vicende di questa ragazza e del rapporto morboso con suo padre Philippe, un uomo d’affari oscuro e solitario. Che, mentre piange la defunta moglie, si convince di “amare” la figlia, al punto di abusare di lei fin da piccola.

A poco a poco, però, il fantastico s’insinua nella quotidianità claustrofobica e torbida in cui Angelica è suo malgrado imprigionata, trasformandola in un’avventura che rivisita il mito classico di Apollonio (meglio conosciuto come Pericle, grazie a Shakespeare) e di come rischia la morte peraver rivelato la relazione incestuosa tra il re di Antiochia e sua figlia.

Ci vuole un po’ per capire che è la stessa Angelica a raccontare questa storia a se stessa, dopo che sfuma – in modo tragico – la possibilità di essere salvata da Darius, giovane ricco e carismatico, figlio di un amico di Philippe.

Nel labile confine tra sogno e realtà, con una delicatezza eccezionale e un ritmo che non lascia il tempo di prendere fiato, Mark Haddon ci accompagna in un viaggio intenso, destabilizzante: l’esperienza di una donna che combatte e ostinatamente resiste agli attacchi al suo corpo, trovando consolazione nella letteratura, usando come arma la fantasia.


L’AUTORE

Mark Haddon è nato nel 1962. Vive a Oxford. Per Einaudi ha pubblicato i romanzi Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte (2003, 2005 e 2014), Una cosa da nulla (2006), Boom! (2009 e 2011), La casa rossa (2012), l’antologia di racconti I ragazzi che se ne andarono di casa in cerca della paura (2017), nonché la raccolta di poesie Il cavallo parlante e la ragazza triste e il villaggio sotto il mare (2005). La Focena (2020) è stato annoverato tra i migliori libri dell’anno da «The Guardian», «The Washington Post», «Star Tribune», ed è arrivato finalista al Goldsmiths Prize 2019.

Un uomo migliore

Titolo: Un uomo migliore

Autore: Louise Penny

Editore: Einaudi

Anno di pubblicazione: 2020


SINOSSI

Nel mezzo di una delle peggiori alluvioni della storia del Québec, una giovane donna scompare di casa. Con le piogge che infuriano le ricerche andrebbero interrotte ma Armand Gamache si ritrova attanagliato da una domanda: cosa faresti se l’assassino di tua figlia girasse a piede libero? Mentre Three Pines è travolta da piogge e inondazioni senza precedenti, Armand Gamache, in procinto di tornare a capo della Sûreté du Québec dopo essere stato sospeso, deve gestire una duplice emergenza: quella meteorologica, con fiumi in piena e dighe che rischiano di cedere in tutta la zona; e quella legata all’improvvisa sparizione di una ragazza, Vivienne Godin. Ha venticinque anni, è incinta e tra i sospettati della sua scomparsa c’è il marito violento e alcolizzato. Ma con i media che attaccano Gamache per la gestione della calamità e lo stato di allerta nella provincia, le indagini procedono a rilento. Eppure Gamache, che ha una figlia della stessa età di Vivienne, non può fare a meno di immedesimarsi nel padre, soprattutto perché qualcosa lo porta a credere che si tratti di omicidio.


RECENSIONE

Lo ha fatto ancora. Con Un uomo migliore Louise Penny ha regalato di nuovo ai suoi lettori un romanzo avvincente, originale e ricco di colpi di scena. Un romanzo che, in un certo senso, è anche un libro di transizione per i suoi personaggi principali.

Da un lato, c’è Jean-Guy Beauvoir, che ne ha abbastanza del suo lavoro nella Sûreté de Québec e si sta per trasferire a Parigi con la famiglia; dall’altro, c’è Armand Gamache, suo suocero, che torna in servizio dopo i mesi più difficili della sua carriera, demansionato.

Con il medesimo ruolo di ispettore capo della Omicidi, i due si trovano a indagare fianco a fianco,per l’ultima volta, su un caso di violenza domestica che non può lasciarli indifferenti: la sparizione di Vivienne Godin, una donna giovane, incinta, che ha pressappoco l’età della moglie di Jean-Guy/figlia di Armand.

Armand e Jean-Guy non sono tuttavia gli unici personaggi a trovarsi a un bivio. C’è anche Clara, la pittrice, che, proprio come Gamache, sta affrontando dure critiche al suo lavoro sui social media. Non solo. L’intera comunità di Three Pines è minacciata da un’alluvione, che si preannuncia catastrofica.

Riusciranno a sopravvivere tutti quanti?

Sapranno cogliere l’opportunità di mettersi in gioco che la crisi comporta?

Ne usciranno sconfitti o migliori?

Siamo sicuri che i fan di Three Pines si godranno fino all’ultima pagina questo nuovo episodio e l’indiscutibile capacità della Penny di descrivere tanto i personaggi, riannodando i fili dei romanzi precedenti, quanto la profondità delle emozioni umane e la suggestione dei paesaggi del Québec.

La sensazione, arrivati in fondo al romanzo, è la stessa che abbiamo avuto leggendo Il regno delle ombre: immergersi nell’universo narrativo di Louise Penny è come trascorrere un po’ di tempo con cari, vecchi amici. Che, una volta salutati, non vediamo l’ora di incontrare di nuovo.


L’AUTORE

Louise Penny, nata a Toronto, vive in un piccolo villaggio a sud di Montréal. Oltre ad aver vinto sette Agatha Awards per il miglior crime dell’anno, le è stato assegnato The Order of Canada nel 2014 e l’Ordre National du Québec nel 2017. È autrice di quindici romanzi con protagonista il commissario Armand Gamache, tutti di prossima uscita per Einaudi Stile Libero, che della serie ha già pubblicato Case di vetro (2019), Il regno delle ombre (2020) e Un uomo migliore (2020). Penny è pubblicata in ventisei Paesi e ha venduto milioni di copie nel mondo.

Velocemente da nessuna parte

Titolo: Velocemente da nessuna parte

Autore: Grazia Verasani

Editore: Marsilio

Anno di pubblicazione: 2020


SINOSSI

Giorgia Cantini ha un’agenzia investigativa a Bologna. In genere si occupa di banali pedinamenti per coniugi o fidanzati gelosi, ma stavolta le è stato affidato un caso di sparizione. Dora vuole sapere cosa è accaduto all’amica Vanessa Liverani, per tutti Van, madre di un bambino di dieci anni, Willy. Van è una giovane prostituta che conduce una vita solitaria ed è sparita senza lasciare traccia. Ma il suo corpo senza vita viene presto ritrovato nella Grotta delle Fate e Giorgia, per scoprire la verità, si concentra sulle confessioni che la donna ha affidato a un quaderno. Si addentra così nell’ipocrita realtà della Bologna bene, e si scontra con le dinamiche di una famiglia dal passato ingombrante. Nel continuo andirivieni tra una Bologna afosa e deserta e Sasso Marconi, dove abitano i parenti più stretti di Van, Giorgia si confronta con la madre Lena, una donna dura, dai modi spicci, e con il nonno Rolando, ex partigiano che si prende cura del piccolo Willy. Resta sullo sfondo invece il padre di Van, su cui grava ancora l’ombra di un delitto passionale commesso anni prima. Giorgia dovrà cogliere le sfumature emotive e captare i segni di una tragedia familiare, riportando alla luce un’atroce verità le cui conseguenze peseranno immancabilmente sugli elementi più fragili della storia.


RECENSIONE

Pubblicato nel 2006 e riproposto oggi da Marsilio in formato digitale, Velocemente, da nessuna parte è il secondo romanzo di Grazia Verasani, dopo il successo ottenuto con Quo vadis, baby? (da cui Gabriele Salvatores ha tratto l’omonimo film), il secondo che ha per protagonista l’investigatrice privata Giorgia Cantini.

Al di là del plot narrativo solido e avvincente, che vede la Cantini alle prese con la scomparsa (poi omicidio) di “Van”, prostituta d’alto bordo per la “Bologna bene”, con un figlio di dieci anni e un quaderno di poesie nascosto sotto il cuscino, gli ingredienti del fortunato esordio dell’autrice sono presenti anche in questo noir.

Lo stile è immediato e va dritto al cuore del lettore, grazie alla narrazione in prima persona, l’atmosfera è cupa e malinconica, e non mancano le tante (sfiziose) citazioni musicali, dai CAN ai Damned. A cominciare dal titolo del libro, che deriva dalla canzone “Nowhere Fast”, un pezzo degli Smiths. D’altra parte, Grazia Verasani condivide con la sua protagonista la stessa passione per la musica.

Chi, nel leggere l’esordio dell’autrice, si è affezionato a Giorgia Cantini sarà felice di ritrovare in questo romanzo tutti i tratti che la caratterizzano. Quarant’anni, single, la sigaretta perennemente tra le labbra, Giorgia gira per le strade di Bologna a bordo di una vecchia utilitaria, nel tentativo di trovare po’ di tregua dalla solitudine e dal ricordo di sua sorella Ada.

Tra il conforto dell’alcol e di pochi, selezionatissimi affetti – come “Mel”, l’amico di sempre, o Johnny Riva, ex attore porno, ora suo vicino di casa – Giorgia cerca di risolvere il caso e di fare allo stesso tempo i conti con i suoi irrisolti, mentre l’autrice ci spinge a riflettere su quello che è il tema centrale del romanzo: il bisogno, umanissimo, di fuggire verso un’esistenza diversa.


L’AUTORE

Grazia Verasani (Bologna, 1964) ha esordito giovanissima con alcuni racconti apparsi su Il manifesto. Oltre a Quo vadis, baby? – da cui nel 2005 è stato tratto l’omonimo film di Gabriele Salvatores e nel 2008 una serie tv prodotta da Sky – e agli altri libri della serie con protagonista l’investigatrice Giorgia Cantini (l’ultimo dei quali è Come la pioggia sul cellofan , uscito nel 2020 per Marsilio) ha pubblicato L’amore è un bar sempre aperto (Fernandel 1999), Fuck me mon amour (Fernandel 2001), Tracce del tuo passaggio (Fernandel 2002), From Medea (Sironi 2004), da cui nel 2012 è stato realizzato il film Maternity Blues di Fabrizio Cattani, Tutto il freddo che ho preso (Feltrinelli 2008), Vuoto d’aria (Transeuropa 2010), Accordi minori (Gallucci 2013), Mare d’inverno (Giunti 2014), Lettera a Dina (Giunti 2016) e La vita com’è (La nave di Teseo 2017). I suoi libri sono tradotti in vari paesi tra cui Francia, Germania, Portogallo, Stati Uniti, Russia.

Io sono il castigo

Titolo: Io sono il castigo

Autore: Giancarlo De Cataldo

Editore: Einaudi

Anno di pubblicazione: 2020


SINOSSI

Un tipo eccentrico, così viene definito da chi lo conosce, il PM Manrico Spinori della Rocca, Rick per gli amici, gentiluomo di antiche origini nobiliari, affascinante, un po’ donnaiolo e con una madre ludopatica. Ma anche i più scettici devono fare i conti con la statistica: nel suo mestiere è bravissimo. In più non perde mai la calma, cosa che gli torna utilissima quando si trova a indagare sulla morte di Ciuffo d’oro, famoso cantante pop degli anni Sessanta poi diventato potente guru dell’industria discografica. Subito era parso un incidente stradale, ma non è così: qualcuno lo ha ucciso. Del resto, alla vittima, i nemici non mancavano, per il movente c’è solo da scegliere. Rick, coadiuvato dalla sua squadra investigativa tutta al femminile, si mette dunque al lavoro. E fra serate musicali, vagabondaggi in una Roma barocca e popolana, cene grottesche con aristocratici incartapecoriti, arriverà ancora una volta alla soluzione del mistero.


RECENSIONE

Il secondo atto si spense nel silenzio. Finalmente partì l’applauso. L’uomo dai capelli grigi si alzò e si diresse verso il foyer per un calice di vino. In quel momento gli vibrò il cellulare. Lesse il messaggio, sospirò, e scuotendo la testa uscì dall’edificio, avviandosi al vicino parcheggio di taxi. Il suo nome era Manrico Spinori, sostituto procuratore della Repubblica in Roma. Quel mercoledì era di turno ed era stato convocato in ben altro teatro.

È in questo modo che entra in scena Manrico “Rick” Spinori, protagonista della serie uscita dalla penna di De Cataldo, di cui “Io sono il castigo” rappresenta il primo, avvincente, episodio.

Impossibile non rimanere affascinati dal “Contino” (così è detto il magistrato per via delle sue origini aristocratiche). Manrico è un uomo d’altri tempi, dall’animo mite, gentile, incline all’ascolto, alla riflessione e all’ironia, appassionato di whiskey torbato e di opera lirica.

È proprio attraverso la lirica che Spinori tende a cercare la chiave per interpretare la realtà, dalle relazioni interpersonali alle dinamiche dei delitti. Non farà eccezione l’omicidio di Ciuffo d’Oro, star della musica italiana degli anni ’60, su cui i media si gettano come avvoltoi.

Indaga insieme a Manrico una squadra investigativa tutta al femminile, di cui fa parte anche la new entry Deborah Cianchetti, ispettore dal carattere tanto spinoso, impulsivo ed esuberante, da risultare, almeno in apparenza, inconciliabile con la calma e la prudenza con cui il magistrato conduce l’indagine.

Eppure, tra cantonate e false piste, la reale natura della vittima finisce per venire a galla, e ben poco ha a che spartire con l’immagine pubblica che Ciuffo d’Oro si è costruito. La verità, come negli altri casi che Spinori ha risolto, gli sarà suggerita dai versi di un’opera.

Se già conoscete De Cataldo, possiamo dirvi soltanto che questo romanzo non vi deluderà. Non vediamo l’ora di leggere il secondo episodio.


L’AUTORE

Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956), è magistrato, drammaturgo, sceneggiatore. Ha scritto molti romanzi (il più noto è di certo Romanzo criminale, edito nel 2002 per Einaudi e vincitore l’anno successivo del Premio Scerbanenco: da questo libro Michele Placido ha tratto un celebre film, seguito poi da una serie TV), sceneggiature per cinema e televisione e testi teatrali. Collabora a quotidiani e a riviste come, tra le altre, «la Repubblica», «Il Messaggero», «L’Unità» e «Corriere della Sera Magazine». Nel giugno del 2007 esce nelle librerie Nelle mani giuste, ideale seguito di Romanzo criminale, ambientato negli anni ’90, dal periodo delle stragi del ’93, a Mani Pulite e alla fine della cosiddetta Prima Repubblica; i due libri hanno alcuni personaggi in comune. Nel 2009 esce per Einaudi La forma della paura, scritto a quattro mani con Rafele Mimmo. Dell’anno successivo è Il padre e lo straniero, sempre per Einaudi. Nel 2012 esce Io sono il Libanese, e nel 2013 De Cataldo firma con Gianrico Carofiglio e Massimo Carlotto un volume di racconti intitolato Cocaina, pubblicato da Einaudi Stile Libero. Sempre del 2013 è Suburra (Einaudi), di cui è autore insieme a Carlo Bonini. Tra gli altri suoi libri ricordiamo: I semi del male (Rizzoli 2014), Nell’ombra e nella luce (Einaudi 2014), Alba nera (Rizzoli 2019 Quasi per caso) e (Mondadori 2019).